Imprenditori in Tunisia: l'impatto della crisi sulla vostra attivit�
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Buongiorno a tutti,
L'economia mondiale ha subito una battuta d'arresto a causa della crisi sanitaria legata al COVID-19, imprenditori in Tunisia fateci sentire la vostra voce!
L' attuale contesto solleva nuove sfide, vi invitiamo quindi a condividere le vostre esperienze sull'impatto che questa crisi sta avendo sulla vostra attività in Tunisia.
In che settore operate e quanto grande è la vostra azienda in Tunisia?
Che impatto sta avendo la crisi sul nostro business a livello finanziario, umano e materiale? Al contrario, questa situazione ha fatto emergere per voi delle nuove opportunità?
Siete riusciti a passare in modalità telelavoro e come è avvenuta la transizione?
Avete dovuto prendere delle scelte difficili a livello manageriale e quali sono?
Qualche consiglio da dare ad altri imprenditori o qualche misura interessante che state sperimentando e che manterrete anche dopo la fine della crisi?
Grazie in anticipo per il vostro contributo,
Francesca
Nei due viaggi in Tunisia ho molto apprezzato la cucina e l'olio tunisino, ma per quanto abbia cercato non l'ho trovato commercializzato al dettaglio sul Web come potrebbe esserlo su Amazon o altri ecommerce.
Potrebbe essere un'idea commercializzare online prodotti della Tunisia di ottima qualità.
Ciao Ondacalabra,
Sei in imprenditore in Tunisia?
Scusa ma non ho ben capito la natura del tuo intervento...
Ondacalabra ha scritto :Nei due viaggi in Tunisia ho molto apprezzato la cucina e l'olio tunisino, ma per quanto abbia cercato non l'ho trovato commercializzato al dettaglio sul Web come potrebbe esserlo su Amazon o altri ecommerce.
Potrebbe essere un'idea commercializzare online prodotti della Tunisia di ottima qualità.
È un problema di dogane.
Dalla Tunisia non potresti farlo. Andrebbe fatto importando in Italia e poi commercializzando. Ovviamente i dazi rendono la cosa non proprio conveniente.......le esenzioni nell'ambito degli accordi di libero scambio sono solo su determinate quantité di materia prima, non sul prodotto finito.
Certamente, se si riesce a posizionarli adeguatamente sul mercato ad un premium price che copra anche gli eventuali dazi e i costi di marketing: l'indubbia qualità di determinati prodotti andrà comunicata al potenziale consumatore, cosa non immediata, considerando purtroppo l'immagine spesso negativa che viene veicolata della Tunisia e di tutto ciò che dal Paese proviene (vedi proprio la questione dell'olio), da parte di agguerrite corporazioni e sovente anche dalla politica.
Salve, già esistono innumerevoli imprenditori italiani che da decenni in italia importano: olio ed olive, ortaggi semilavorati, frutta e frutta secca, prodotti ittici, ceramiche e legnami, tessile etc. etc..
Senz'altro. Ma si parlava di commercializzazione al dettaglio, se ho ben capito. In cui il consumatore è conscio di acquistare un prodotto tunisino e lo acquista perché ne ha percepito la qualità.
Per la maggior parte invece l'attività attuale è di commercializzazione all'ingrosso. Ad esempio: olio a marchio tunisino in Italia è inesistente; lo consumiamo invece miscelato ad altri oli di provenienza europea.
I giapponesi, che pare siano esigentissimi in fatto di olio, stanno invece supportando la creazione di un marchio di qualità per l'olio tunisino (con competenze tecniche, di marketing e un cospicuo finanziamento) al fine di importare e commercializzare il prodotto finito a marchio tunisino in Giappone.
Peccato non lo abbia fatto l'Italia. Il nostro Paese produce solo il 50% del fabbisogno, l'altro 50% (circa 300.000 ton/annue) deve essere importato. Invece di fare la guerra all'olio tunisino, una visione più lungimirante avrebbe dovuto vederci impegnati quella strada battuta dai giapponesi.
Quello che volevo evidenziare è che il nostro mercato (italiano in particolare, quello del resto d'Europa è già più disponibile), non è preparato ad accettare che un prodotto tunisino, commercializzato in quanto tale, sia associabile ad un marchio di qualità come pure ad una produzione biologica (cosa che invece avviene in molti settori).
Il sentire comune associa al prodotto estero in generale e tunisino nello specifico, un immagine di bassa qualità, di uso incontrollato di pesticidi e concimi che da noi non sarebbero ammessi.
Sebbene talvolta, complici anche imprenditori italiani (vedi il caso delle concerie e dei trattamenti di colorazione nel tessile), certi pregiudizi possono avere una loro fondatezza in determinati comportamenti scorretti. Poi però il jeans di marca italiana o americana lo acquistiamo e lo indossiamo, inconsapevoli del fatto che sia stato trattato e confezionato in Tunisia.
Quindi il mio parere è che, è vero, il prodotto è ottimo, ma nel commercializzarlo al dettaglio si andrebbe a coprire un mercato estremamente di nicchia, già consapevole. Volendo espandere il mercato occorrerebbe mettere in conto un investimento aggiuntivo in termini di marketing. Inoltre il prodotto finito è soggetto a dazi, mentre sulla materia prima ci sono ampie quote di esenzione (vedi sempre il caso dell'olio).
Entrambi fattori di cui tenere conto in fase di valutazione costi/opportunità, assieme al fatto che, trattandosi di prodotti alimentari, ma ad esempio anche cosmetici (settore di cui mi sto occupando proprio adesso), ed essendo di produzione extra EU, c'è tutta una serie di requisiti relativi alle certificazioni a cui bisogna ottemperare prima della messa in commercio.
Live in tunisia ha scritto :Senz'altro. Ma si parlava di commercializzazione al dettaglio, se ho ben capito. In cui il consumatore è conscio di acquistare un prodotto tunisino e lo acquista perché ne ha percepito la qualità.
Per la maggior parte invece l'attività attuale è di commercializzazione all'ingrosso. Ad esempio: olio a marchio tunisino in Italia è inesistente; lo consumiamo invece miscelato ad altri oli di provenienza europea.
I giapponesi, che pare siano esigentissimi in fatto di olio, stanno invece supportando la creazione di un marchio di qualità per l'olio tunisino (con competenze tecniche, di marketing e un cospicuo finanziamento) al fine di importare e commercializzare il prodotto finito a marchio tunisino in Giappone.
Peccato non lo abbia fatto l'Italia. Il nostro Paese produce solo il 50% del fabbisogno, l'altro 50% (circa 300.000 ton/annue) deve essere importato. Invece di fare la guerra all'olio tunisino, una visione più lungimirante avrebbe dovuto vederci impegnati quella strada battuta dai giapponesi.
Quello che volevo evidenziare è che il nostro mercato (italiano in particolare, quello del resto d'Europa è già più disponibile), non è preparato ad accettare che un prodotto tunisino, commercializzato in quanto tale, sia associabile ad un marchio di qualità come pure ad una produzione biologica (cosa che invece avviene in molti settori).
Il sentire comune associa al prodotto estero in generale e tunisino nello specifico, un immagine di bassa qualità, di uso incontrollato di pesticidi e concimi che da noi non sarebbero ammessi.
Sebbene talvolta, complici anche imprenditori italiani (vedi il caso delle concerie e dei trattamenti di colorazione nel tessile), certi pregiudizi possono avere una loro fondatezza in determinati comportamenti scorretti. Poi però il jeans di marca italiana o americana lo acquistiamo e lo indossiamo, inconsapevoli del fatto che sia stato trattato e confezionato in Tunisia.
Quindi il mio parere è che, è vero, il prodotto è ottimo, ma nel commercializzarlo al dettaglio si andrebbe a coprire un mercato estremamente di nicchia, già consapevole. Volendo espandere il mercato occorrerebbe mettere in conto un investimento aggiuntivo in termini di marketing. Inoltre il prodotto finito è soggetto a dazi, mentre sulla materia prima ci sono ampie quote di esenzione (vedi sempre il caso dell'olio).
Entrambi fattori di cui tenere conto in fase di valutazione costi/opportunità, assieme al fatto che, trattandosi di prodotti alimentari, ma ad esempio anche cosmetici (settore di cui mi sto occupando proprio adesso), ed essendo di produzione extra EU, c'è tutta una serie di requisiti relativi alle certificazioni a cui bisogna ottemperare prima della messa in commercio.
Spesso si vuole nascondere il sole con il dito ed accettare con consapevolezza che un certo gioco conviene ad entrambi le parti. La Tunisia produce i prodotti (scarpe, vestiti, ceramiche, semilavorati alimentari, componentistici veicoli) dando lavoro a migliai di persone, esporta in europa dove vengono marchiati e venduti
Mi pare stiamo sostenendo, in termini diversi la stessa cosa.
Finché il consumatore non sa, o finge di non sapere, che il prodotto è di fatto tunisino, non ci sono problemi. Un noto imprenditore italiano nel settore calzaturiero, solo per evidenziare un esempio, produce qui da 30 anni, ma vende "scarpe italiane" in tutto il mondo.
Non mi risulta commercializzato al dettaglio un noto marchio di scarpe tunisine.
Stesso discorso vale per i prodotti alimentari. Qui si producono conserve ad esempio (dalle marmellate agli ortaggi), ma sugli scaffali dei supermercati non trovi la marmellata o i carciofini tunisini; trovi quelli dei noti marchi.
E il paradosso è che gli stessi tunisini, quando possono permetterselo, preferiscono acquistare prodotti di importazione al posto dei locali. E in alcuni casi questi prodotti provengono da materie prime e semilavorazioni tunisine!
Insomma: ogni tanto leggo o vengo contattato da gente che pensa di aver scoperto la nicchia inesplorata del commercio Italia-Tunisia (in entrambi i sensi); la prima domanda da porsi, ancor prima di valutare la fattibilità dell'impresa è: se esistessero, tali spazi sarebbero a tutt'oggi inoccupati?
Live in tunisia ha scritto :Mi pare stiamo sostenendo, in termini diversi la stessa cosa.
Finché il consumatore non sa, o finge di non sapere, che il prodotto è di fatto tunisino, non ci sono problemi. Un noto imprenditore italiano nel settore calzaturiero, solo per evidenziare un esempio, produce qui da 30 anni, ma vende "scarpe italiane" in tutto il mondo.
Non mi risulta commercializzato al dettaglio un noto marchio di scarpe tunisine.
Stesso discorso vale per i prodotti alimentari. Qui si producono conserve ad esempio (dalle marmellate agli ortaggi), ma sugli scaffali dei supermercati non trovi la marmellata o i carciofini tunisini; trovi quelli dei noti marchi.
E il paradosso è che gli stessi tunisini, quando possono permetterselo, preferiscono acquistare prodotti di importazione al posto dei locali. E in alcuni casi questi prodotti provengono da materie prime e semilavorazioni tunisine!
Insomma: ogni tanto leggo o vengo contattato da gente che pensa di aver scoperto la nicchia inesplorata del commercio Italia-Tunisia (in entrambi i sensi); la prima domanda da porsi, ancor prima di valutare la fattibilità dell'impresa è: se esistessero, tali spazi sarebbero a tutt'oggi inoccupati?
Salve, parliamo la stessa lingua e credo che in europa ci sia una certa resistenza a dare spazio ufficiale al mercato/dettaglio tunisino. Vedo, dalle mie parti, che ci sono sparute piccole realtà che vendono un poco di tutto, ma sono piccole realtà commerciali...
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