Penuria di manodopera in Giappone: i nuovi visti risolveranno la crisi?

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Scritto da Asaël Häzaq il 12 luglio, 2024
Di fronte alla carenza di manodopera e al peggioramento della situazione demografica, il Giappone si sta gradualmente aprendo all'immigrazione, in particolare riformando le politiche sui visti. Il Paese, però, è combattuto tra la necessità economica e un modello sociale costruito sull'omogeneità. Segue un'analisi.

Riforma dei visti per lavoratori qualificati per attirare più espatriati

Il Giappone sta assumendo e vuole attirare professionisti stranieri. Il 5 aprile il governo ha annunciato che accoglierà fino a 800.000 lavoratori qualificati nei prossimi 5 anni. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, il numero di professionisti stranieri è aumentato del 12,4% tra il 2022 e il 2023. Si tratta di un record, ossia 2,04 milioni di lavoratori stranieri.

Di fronte a un allarmante calo demografico, il governo non ha altra scelta che ricorrere all'immigrazione. Una politica diversa rispetto a quella del governo Abe che, nel 2015, aveva preferito investire sulla robotica che sull'immigrazione.

Più lavoratori stranieri per contrastare la carenza di manodopera

I dati mostrano un aumento del numero di immigrati in Giappone. Il Paese ha rilasciato 4,1 milioni di visti nel 2023, il triplo rispetto al 2022, ma pur sempre inferiore rispetto al periodo pre-pandemia (8,2 milioni di visti rilasciati nel 2019). Gli espatriati asiatici sono i più numerosi, tra cui cittadini cinesi (2,4 milioni di visti ottenuti nel 2023), filippini (518.489 visti) e vietnamiti (327.905 visti).
Le imprese, soprattutto quelle che operano nei settori dell'edilizia, dell'agroalimentare, dei trasporti e della sanità, chiedono al governo di estendere la politica migratoria. I giovani giapponesi non vogliono più fare lavori duri e impegnativi.

Le aziende, in particolare quelle che operano in settori con carenza di manodopera, continuano a chiedere al governo politiche di immigrazione più aperte. Il gigante della vendita al dettaglio AEON, ad esempio, ha recentemente annunciato l'intenzione di assumere 4.000 lavoratori stranieri entro il 2030 (attraverso il visto per lavoratori qualificati), che andranno ad aggiungersi ai 1.500 che impiega attualmente.

Migliorare le condizioni dei lavoratori stranieri

Le riforme approvate nel 2023 e nel 2024 hanno lo scopo di migliorare le condizioni dei lavoratori stranieri. Nel 2023, il Giappone ha esteso il controverso Specified Skilled Worker Visa 1 ad altri settori (trasporti automobilistici, ferrovie, ecc.). Questo visto, che offre meno garanzie del visto di tipo 2, consente solo un soggiorno di cinque anni e vieta il ricongiungimento familiare. Il visto di tipo 2, invece, è rinnovabile a tempo indeterminato e consente il ricongiungimento familiare.

Nel 2023, il Giappone ha anche esteso il raggio del visto di tipo 2, consentendo ai titolari di un visto di tipo 1 la possibilità di ottenere un visto di tipo 2. Le pratiche da svolgere restano comunque complesse, tra cui il superamento di complicati test in giapponese.

Il paradosso della politica di immigrazione giapponese

Da un lato, lo Stato riconosce l'urgenza di riformare il proprio sistema e di accogliere più stranieri. Dall'altro, i sentimenti nazionalisti alimentano la paura. Ne consegue che il Giappone fatichi ad attrarre lavoratori stranieri, che preferiscono destinazioni come il Canada, gli Stati Uniti o l'Australia.

A giugno, il Parlamento ha approvato nuovi programmi per proteggere i lavoratori stranieri dallo sfruttamento. Gli espatriati meno qualificati, a causa della precarietà del loro visto, sono particolarmente vulnerabili. Le nuove misure offrono loro una maggiore protezione e permettono di cambiare datore di lavoro. Parallelamente, due nuove riforme hanno inasprito le regole per gli espatriati.

La prima riforma, promulgata nel marzo 2024, riguarda i controversi "tirocini tecnici". Dalla sua introduzione negli anni '90, sono stati segnalati numerosi casi di abusi e maltrattamenti nei confronti dei tirocinanti stranieri. Questa riforma si impegna a proteggere meglio i lavoratori stranieri, ma anche a revocare lo status di residente permanente in caso di evasione fiscale o di reati (furto con scasso, aggressione o furto).
La seconda riforma riguarda i richiedenti asilo, con un processo più snello e un'espulsione più semplice in caso di rifiuto della domanda. Il Ministro della Giustizia, Ryuji Koizumi, trova che sia giusto inasprire le sanzioni per chi non rispetta le regole. Lo ritiene essenziale per garantire relazioni pacifiche tra giapponesi e stranieri.

Perché l'immigrazione è un argomento delicato in Giappone

Gli esperti ritengono che il Giappone, se vuole salvare la sua economia, ha solo 15 anni di tempo, periodo nel quale deve triplicare il numero di immigrati. Di fronte a questo allarmante ultimatum, ci si aspetterebbe una politica di immigrazione più diretta. Ma il Giappone tergiversa. Quando Joe Biden ha accusato il Giappone di xenofobia all'inizio di maggio, quest'ultimo ha risposto dicendo che le sue politiche erano state semplicemente fraintese. Il Primo Ministro Kishida insiste nel voler prendere tempo, ignorando gli avvertimenti degli economisti.

Come può il Giappone attrarre lavoratori stranieri senza una politica di immigrazione coerente? Il Paese fatica persino a usare la parola "immigrazione". Per la società giapponese, "immigrazione" equivale a "instabilità sociale", considerando i crimini commessi dagli stranieri come la prova che "gli stranieri sono pericolosi", ignorando le problematiche imputabili ai cittadini giapponesi.
Questo preconcetto è associato alla nozione di un Giappone omogeneo, un'idea di "purezza etnica" tuttora attuale. Il 24 maggio, il Primo Ministro Kishida, facendo eco ad Abe, sostenitore di questa "purezza etnica", che detto che: "Per preservare la nazione, il governo adotterà una politica di immigrazione che imporrà un limite al soggiorno degli stranieri e delle loro famiglie". -- Una posizione tutt'altro che accogliente.

Dagli anni 2000, il numero di stranieri è aumentato gradualmente, ma rappresenta solo il 3% della popolazione. La retorica nazionalista sulla purezza etnica è comunque allarmante. In altre parole, per garantire l'omogeneità sociale, gli espatri saranno ammessi in numero limitato e solo dopo rigidi processi di selezione.

Fine del mito del "Giappone omogeneo"

Il mito della purezza etnica del Giappone, rafforzato dopo la Seconda Guerra Mondiale, è sostenuto dal Partito Liberal Democratico (LDP), che ingloba posizioni sia liberali che radicali.
L'ex Premier Tarō Asō, ora Vice Primo Ministro e membro del LDP, promuove senza mezzi termini una politica nazionalista (e sessista). Nel 2020, ha celebrato gli oltre 2.000 anni di storia del Giappone, di "una sola lingua, un solo gruppo etnico, una sola dinastia", ignorando gli Ainu, i primi abitanti del Paese che sono stati colonizzati e sono tuttora oggetto di discriminazione, e gli Zainichi, discendenti dei coreani portati in Giappone durante l'annessione, anch'essi discriminati. Anche altre minoranze etniche lottano per il riconoscimento, a riprova che il Giappone non è mai stato così omogeneo come sostiene e che dovrebbe considerare il suo multiculturalismo come un punto di forza.

Il Giappone è pronto ad accogliere più stranieri?

Gli immigrati altamente qualificati potrebbero non avvertire in modo così forte la "doppia faccia" del Giappone, problematica che tocca invece quelli meno qualificati. Queste esperienze variano, ovviamente, a seconda delle circostanze individuali.

I sociologi sostengono che aumentare il numero di visti di lavoro non basti. Serve infatti una forte volontà politica di promuovere l'immigrazione, con programmi validi per accogliere gli stranieri e porre fine alla discriminazione nei confronti degli espatriati meno qualificati. Per molti di loro, il "sogno giapponese" non si è realizzato. Nonostante i settori dell'industria, dell'agricoltura e della cura alla persona siano afflitti da carenze di manodopera, gli espatriati che operano in questi ambiti faticano ad integrarsi. 

L'approccio dell'LDP non favorisce l'immigrazione e l'opinione pubblica riflette questa ambivalenza. Secondo un sondaggio del governo del 2022, il 40% dei giapponesi è favorevole a un aumento dell'immigrazione, ma c'è anche una forte opposizione, soprattutto da parte degli anziani, che vedono minacciata l'omogeneità nazionale. E' questa la sfida del Giappone per il futuro: porre fine al mito della "purezza etnica".