Parlaci un po' di te e dei motivi che ti hanno portato a Riyadh
Era agosto 2019, mi trovavo in macchina diretta a Venezia per salire sulla nave da crociera e godermi una meritata settimana di ferie insieme alla mia migliore amica quando sento squillare il telefono e leggo il nome della mia responsabile. Penso subito che si tratti di un'urgenza altrimenti non mi avrebbe mai chiamata durante le vacanze, con il cuore in gola rispondo e mi dice: “Sei seduta? Sono qui con il responsabile del personale” ed io inizio a pensare al peggio e continua dicendomi “sì è aperta una posizione per il progetto a Riyadh che l'azienda sta seguendo e abbiamo subito pensato a te”.
Risposi subito di sì e di ritorno dalle vacanze mi mandarono a Milano a fare il visto e il 24 settembre sono partita per la prima volta verso la capitale dell'Arabia Saudita insieme a due colleghi. Per motivi di privacy non posso dire il nome dell'azienda, né tantomeno di che progetto si tratta, posso solo dire che al momento è il progetto più grande ed importante di Riyadh.
Qual è stata la tua prima impressione appena arrivata?
Mi sono molto sorpresa di come tutto fosse “grande” rispetto all'Italia dove tutto è a misura d'uomo.
La prima cosa in assoluto che ho pensato è stata: “Ma come guidano questi?”. Nel mio primo tragitto Compound-lavoro ho rischiato la vita 2 o 3 volte!
Mi sono anche impressionata nel vedere un open space così grande e rumoroso, molto diverso dal tipo di ambiente lavorativo al quale ero abituata.
La prima impressione è comunque stata positiva soprattutto rispetto al modo in cui sono stata trattata e accolta da tutti.
Qual è stata la situazione più complessa che hai vissuto e come l'hai superata?
Lasciando da parte la componente lavorativa nella quale ho vissuto vari momenti complessi e delicati per vari fattori, sicuramente la difficoltà più grande per me è stata ridimensionare il mio carattere troppo vivace e “sopra le righe” per una città come Riyadh. È vero che l'Arabia sta cambiando ed è già cambiata tantissimo ma non penso sia ancora pronta per gestire una ragazza come me nel pieno della sua iperattività.
Mi sono dovuta molto contenere, sono una persona molto espansiva, rumorosa, piena di vita e soprattutto con solo una regola “vivere una vita che valga la pena di essere vissuta”. Seguendo questo motto mi lascio guidare dalle mie sensazioni ed emozioni, se ascolto la musica e voglio mettermi a ballare per strada solitamente lo faccio, ma a Riyadh non si può, verresti guardata male e forse anche ripresa dalla polizia.
Piano piano mi sono abituata a questo modo di vivere più pacato e ordinato lasciando per il Compound (il complesso dove vivevo, dove è permesso non usare la abaya e dove si può, nei limiti, fare ciò che si vuole) la mia esuberanza.
Come ti trovi a lavorare in un team internazionale essendo l'unica donna?
Fino a poco tempo fa avevo una collega italiana che anche lei era stata mandata lì dalla sede italiana. La sua presenza mi confortava anche perché io sono la piccolina del gruppo e i miei colleghi li vedo quasi come una seconda famiglia ed avere una donna che mi faceva un pochino da “mamma” era sicuramente un pro. Adesso me la dovrò vedere da sola, dovrò cercarmi di fare valere in un team di soli uomini, dovrò cercare di dimostrare che nonostante la mia giovane età mi merito di ricoprire questa posizione e posso arrivare molto lontano.
Da pochi anni anche alle donne saudite è concesso lavorare e credo sia un passo molto importante per il paese, un riconoscimento del valore della donna non solo come donna di casa ma anche come donna indipendente e lavoratrice. Inshallah (cioè “se Dio vorrà”) piano piano le donne saudite riusciranno a conquistare sempre più libertà.
Che differenze hai riscontrato tra il mondo del lavoro italiano e quello saudita?
Senza generalizzare, perché ogni persona è fatta a suo modo, penso che la principale differenza sia il “pragmatismo”. Noi italiani siamo più pragmatici, veloci e risoluti nel portare a termine un lavoro o nel risolvere un problema. Nell'ambiente di lavoro saudita invece si lavora con più calma, le cose si portano a termine sì ma senza fretta, senza ansia, quando si trova il tempo di farle.
Noi italiani siamo più rumorosi e ci alteriamo facilmente (il tutto unito alla nostra classica e inconfondibile gestualità), i sauditi sono sempre tranquilli, pacati, non lasciano quasi trasparite le loro emozioni. I sauditi non amano essere criticati o affrontati in maniera diretta, prediligono un confronto indiretto. Le differenze sono tante ma probabilmente sono quelle che rendono il nostro gruppo di lavoro così performante e unico.
Cosa ti piace fare nel tempo libero a Riyadh?
A differenza di quello che si può pensare, Riyadh offre abbastanza attività ludiche. Sono stata molto fortunata e sono arrivata qui poco prima dell'inizio del “Riyadh Season”, una serie di eventi dislocati per tutta la città che comprendevano concerti, parchi giochi, festa delle lanterne, fuochi d'artificio, ristoranti internazionali tra cui il Twiga di Briatore etc…Ho frequentato tutte queste attrazioni insieme ad alcuni amici e sono anche andata al concerto di Pitbull, forse la serata più bella da quando sono a Riyadh.
Mi piace anche girare per i giganti Mall, andare al cinema, scoprire nuovi luoghi della città, visitare le Moschee e i souq (mercati a cielo aperto tipici).
Ogni tanto durante il week-end faccio delle gite fuori porta: Bahrain, deserto (“The Edge Of The World”), Oman, Dubai etc….
L'Arabia Saudita è cambiata tanto negli ultimi anni, prima non si poteva nemmeno ascoltare la musica in pubblico, adesso ci sono molte più libertà.
Devi vestirti secondo regole precise quando sei pubblico?
Sì, nei luoghi pubblici così come in ufficio è obbligatorio indossare la abaya.
Si tratta di un vestito lungo fino alle caviglie che si può chiudere con la zip o con i bottoni o semplicemente avvitandolo su sé stesso.
L'abaya può anche essere tenuta aperta (anche se in certi luoghi è consigliabile tenerla chiusa) ma sotto vanno indossati capi larghi e non scollati o che lascino intravedere il fisico. Non è obbligatorio invece portare il velo o coprire il capo (a meno che non si vada in un luogo di culto).
Ho fatto fatica ad abituarmi, ma ora mi sono abituata e mi diverto a comprare abaye di ogni colore e trama!
Fino a qualche anno fa era presente la Mutawa, ovvero la polizia religiosa saudita che imponeva a tutti un certo modo di vestire e comportarsi nel rispetto della religione.
È vero che le donne non possono guidare? Come fai per spostarti?
Dal 24 giugno 2018 le donne saudite hanno iniziato a guidare. Si tratta di una decisione del principe ereditario Mohammed bin Salman in ottica della “Vision 2030”, un piano di riforme economiche e sociali.
Se una donna italiana volesse guidare basterebbe ottenere una patente internazionale; né io né i miei colleghi però, per decisione aziendale, possiamo guidare (anche perché guidare a Riyadh è davvero difficile e molto pericoloso!) e quindi ci spostiamo con Uber. Si tratta di un servizio davvero comodo e funzionale.
Il coronavirus ha avuto un impatto negativo sulla tua missione lavorativa a Riyadh?
Purtroppo, come in tutti i lavori, sì. Fortunatamente non ho avuto impatti negativi a livello economico ma a livello di gestione del lavoro.
Mi occupo di un settore in cui la componente umana è molto importante e lavorare da casa comunicando solamente tramite PC non è facile.
Inoltre, questa situazione mi ha fatto rimanere a Riyadh un mese e passa in più rispetto alla trasferta che avevamo organizzato. Hanno deciso di chiudere le frontiere e di bloccare tutti i voli, specialmente per l'Italia trattandosi di un paese molto a rischio.
La mancanza di contatto con il mondo esterno e l'impossibilità di tornare a casa mi avevano abbastanza destabilizzata.
Fortunatamente l'Ambasciata Italiana ha organizzato un volo per Roma e sono riuscita, seppur in ritardo, a rientrare a casa e vedere la mia famiglia.
Spero che tutto torni presto alla normalità e di poter tornare presto in ufficio a Riyadh.
Paese che vai, usanze che trovi: quali sono quelle che ti hanno maggiormente colpito dell'Arabia Saudita?
Tra le usanze che mi hanno maggiormente colpito (alcune in senso positivo e altre in negativo) ci sono:
La presenza della “Family Section” e “Single Section” (cioè del settore “famiglia” o “uomini”) sia nei ristoranti che nei negozi. Questa divisione permette alle famiglie o alle donne sole di stare in un ambiente “protetto”, lontano da occhi indiscreti. Nei negozi di abbigliamento intimo femminile ad esempio è concesso l'accesso solo alle famiglie o alle donne.
Religiosità: la Sharia è la legge islamica che viene applicata ai musulmani. Penso che questo tipo di religiosità (se non portata agli eccessi) sia una forma di devozione molto forte e radicata.
I negozi chiudono durante l'orario di preghiera: sempre legato alla forte religiosità, durante le preghiere tutti i negozi e ristoranti ed esercizi pubblici devono chiudere. Ho rischiato varie volte di rimanere bloccata dentro un negozio perché non mi rendevo conto che stesse iniziando la preghiera!
Condivisione: i sauditi (penso le culture orientali in generale) hanno un senso di condivisione molto spiccato. Soprattutto per quanto riguarda il cibo…non si ordinano mai piatti singoli, ma tanti piatti da condividere e mangiare insieme.
Giorni lavorativi diversi: quando sono arrivata a Riyadh mi è stato detto che avrei lavorato da domenica a giovedì. Per loro il venerdì è un giorno sacro, infatti anche i negozi aprono il pomeriggio dalle tre in poi.
Che consigli daresti ad una donna che dovesse trasferirsi in Arabia Saudita. Come approcciarsi al mondo del lavoro saudita ed anche alla società locale?
Per una donna occidentale (in realtà anche per un uomo) non è sicuramente facile adattarsi ad un mondo così diverso.
Il mio consiglio, soprattutto se si è giovani come me è quello di non avere paura di cambiare vita poiché la maggior parte delle volte il cambiamento è arricchimento e non rinuncia.
L'esperienza di vivere in un Paese diverso dal proprio ha dei “pro” dei “contro” ma sicuramente permette di aprire gli orizzonti personali. Bisogna però sempre proporsi con curiosità e rispetto per ottenere il massimo dall'esperienza.
Bisogna avere coraggio e non bisogna in alcun modo sentirsi a disagio solo perché si è donne in una società in cui ancora vi sono evidenti, seppur ridotte, differenze di genere.
Come diceva Anne Morrow Lindbergh: “It takes as much courage to have tried and failed as it does to have tried and succeeded”.
Al termine di questa avventura mi porterò dietro le mie abaye come simbolo dello sforzo e del coraggio: dopo questa esperienza, nulla mi potrà fermare!
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