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L'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici

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Pixabay / Pexels
Scritto daMaria Iotovail 25 Febbraio 2021

La scienza ha dimostrato come il cambiamento climatico sia una diretta conseguenza dell'attività umana e della rivoluzione industriale, iniziata con la macchina a vapore e proseguita con la produzione di massa e la tecnologia digitale. E' chiaro che se vogliamo salvaguardare il nostro pianeta dobbiamo apportare un cambiamento radicale ai nostri comportamenti. 

Negli Stati Uniti l'impronta di carbonio pro capite, in un anno, è di circa 16 tonnellate, contro le 4 nel resto del mondo. Per raggiungere gli ambiziosi traguardi che si prefigge l'accordo di Parigi, dobbiamo ridurla a 2 tonnellate entro il 2050. Fare delle piccole modifiche alle nostre abitudini quotidiane ha un impatto positivo sui cambiamenti climatici, ce ne siamo resi conto durante la pandemia del Covid-19. Ma per salvare il pianeta bisogna che i governi si uniscano e lavorino in sinergia per ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Cos'è l'accordo di Parigi

L'accordo di Parigi è un trattato internazionale, giuridicamente vincolante, sui cambiamenti climatici. È entrato in vigore nel 2016 tra 190 parti. Lo scopo del trattato è quello di limitare l'aumento della temperatura mondiale a 1,5°C. Un riscaldamento superiore esporrebbe il 37% della popolazione mondiale a ondate di calore estreme (secondo il Global Climate Change della NASA). Allo scopo, i paesi contraenti si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030.

Oltre agli strumenti scientifici e all'utilizzo della tecnologia, affinché l'accordo si concretizzi, serve una trasformazione socioeconomica. I paesi industrializzati - i maggiori emettitori di carbonio - dovrebbero assicurare la costruzione di strutture che possano resistere alle aggressioni climatiche nei paesi sottosviluppati. 

Nel 2020 i paesi contraenti hanno presentato un piano d'azione singolo che dettaglia le misure che attueranno per ridurre le emissioni di gas serra. Per garantire la trasparenza, le parti devono riunirsi ogni 5 anni per fornire dati sulle proprie emissioni, sugli sforzi fatti per ridurle, sulle misure attuate per adattarsi al cambiamento climatico, sull'aiuto dato o ricevuto per ottenere il risultato prefissato. 

Il singolare caso degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti hanno sottoscritto l'accordo di Parigi nel 2015, sotto la presidenza di Barack Obama. Due anni dopo, il presidente Trump ha annunciato di voler ritirare la nazione dal trattato. Il 4 novembre 2020 gli USA non sono più ufficialmente membri dell'accordo e le loro politiche ambientali prendono una strada diversa. Aderiscono nuovamente al trattato sotto la guida del nuovo presidente, Joe Biden, che ha firmato un ordine esecutivo all'inizio di quest'anno. 

Il contributo dei paesi aderenti

Lo scopo dell'accordo sarebbe quello di lottare contro il cambiamento climatico causato dall'uomo ma in realtà la questione relativa alle emissioni di gas serra è ancora poco definita. Secondo una pubblicazione del Fondo ecologico mondiale - un'organizzazione ambientale senza scopo di lucro - gli sforzi fatti dai singoli paesi per ridurre l'effetto serra non sono sufficienti; da qui al 2030, la nostra salute, i nostri bisogni primari (acqua, cibo), nonchè la biodiversità saranno fortemente minacciati da eventi meteorologici avversi. L'emissione dell'impronta di carbonio emessa da Cina e India, prima e quarta nell'elenco dei maggiori emettitori, aumenterà nel corso dei prossimi anni. Gli Stati Uniti, secondi grandi emettitori, non sono ancora riusciti a ridurre le emissioni in modo significativo. La Russia, quinta nell'elenco, deve ancora elaborare un piano. L'Unione Europea, al terzo posto, si impegna a ridurre le emissioni di anidride carbonica di almeno il 40% entro il 2030. 

I paesi che non hanno ratificato l'accordo di Parigi

Iran,Turchia, Iraq, Eritrea, Libia, Sudan del Sud e Yemen non hanno ancora ratificato l'accordo di Parigi. La Turchia è l'unico stato membro del G20 e dell'OCSE a non aver approvato formalmente l'accordo. Pur trovandosi nella possibilità di ridurre le emissioni facendo maggiore affidamento sulle energie rinnovabili, sopperisce alla crescente domanda di energia a mezzo di centrali elettriche a carbone. L'Angola è stato l'ultimo paese a firmare il trattato nell'agosto 2020, dopo il Kirghizistan e il Libano.

Cosa puoi fare per ridurre la tua impronta di carbonio?

Come individui produciamo quotidianamente emissioni di carbonio, alcuni più di altri, a seconda delle nostre scelte di vita e del paese in cui abitiamo. Ad esempio, se non hai una macchina e ti sposti in bicicletta o a piedi, contribuisci alla diminuzione di circa due tonnellate di CO2 all'anno. Il trasporto pubblico e il carpooling (fuori dalle ore di punta) sono tra le soluzioni più sostenibili, a meno che non acquisti un'auto elettrica. Ma in questo caso devi tenere conto che durante la produzione della batteria dell'auto vengono emesse tonnellate di anidride carbonica.

Se sei un espatriato che ha comprato casa all'estero puoi dare il tuo contributo installando dei pannelli solari, luci a LED, usando elettrodomestici a basso consumo energetico. Isolare bene le pareti potrebbe inoltre contribuire ad usare meno il riscaldamento nei mesi invernali.

Circa il consumo di materiali, pensa alla regola delle tre R: riutilizzare, ridurre, riciclare. L'alimentazione è tra i punti più complessi da gestire. Comprare prodotti a km 0 è una scelta vincente perchè eviti il trasporto. Parrebbe tuttavia che le emissioni per il trasporto dei prodotti alimentari non abbiano un'incidenza così importante sulla totalità delle emissioni. Va piuttosto considerata la natura del cibo che si consuma. Gli alimenti di origine animale (cioè carne e latticini) emettono un'impronta di carbonio molto più elevata rispetto agli alimenti vegetali. L'uso di fertilizzanti e la produzione di metano degli allevamenti intensivi, unitamente al disboscamento dei terreni per uso agricolo, rappresentano l'80% dell'impronta prodotta dalle industrie alimentari.

Per definizione, gli espatriati sono dei viaggiatori. Gli aerei sono un mezzo di trasporto molto inquinante. Durante la pandemia gli spostamenti nazionali ed intercontinentali sono diminuiti drasticamente, dandoci l'opportunità di riflettere sui modi alternativi di muoverci nel post- pandemia. Se per raggiungere la tua destinazione sei obbligato a fare una tratta intercontinentale, cerca voli senza scalo dato che decollo e atterraggio producono grandi dosi di anidride carbonica. Secondo la Banca Mondiale, i passeggeri in prima classe e in business emettono un'impronta di carbonio fino a nove volte superiore degli altri perché possono imbarcare più bagaglio.

Puoi compensare le tue emissioni di carbonio durante il volo contribuendo ad un progetto per la riduzione dei gas serra. Molte compagnie aeree offrono la possibilità di pagare l'importo dovuto direttamente a loro durante la prenotazione del biglietto.

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A proposito di

Maria è una giornalista freelance di origini greche. Dopo aver girato il lungo e in largo il suo paese e il Regno Unito, ha vissuto in Ghana, Corea del Sud, Mauritius e si trova ora in Ruanda.

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