Qual è l'impatto socio-economico del nomadismo digitale?

Vita quotidiana
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Scritto da Asaël Häzaq il 07 settembre, 2022
Estonia, Croazia, Germania, Costa Rica, Capo Verde, Brasile, Ecuador, Cipro, Messico, Portogallo, Emirati Arabi Uniti... l'elenco dei Paesi che rilasciano visti per nomadi digitali continua a crescere. Se fino a qualche anno fa questa categoria di lavoratori era poco diffusa, ora sta rivoluzionando il mercato del lavoro. Dopo il Covid, migliaia di professionisti si sono trasferiti all'estero per unire la carriera a uno stile di vita piacevole. Ma chi trae vantaggio da questo nuovo modo di lavorare? I professionisti locali storcono il naso di fronte a quella che definiscono "un'invasione".

Chi è un nomade digitale?

Dietro il termine "nomade digitale" si cela un nuovo modo di intendere il lavoro e la società. I nomadi digitali possono lavorare ovunque nel mondo a patto di avere una buona connessione a Internet. Il boom del nomadismo digitale va di pari passo con la riapertura delle frontiere dopo i vari lockdown, con le politiche dei governi volte a stimolare la crescita economica e con le nuove esigenze di tanti lavoratori.

Il nomadismo digitale è in pieno fermento

Lo stipendio non è più l'unico fattore che determina la realizzazione professionale. Salute mentale e benessere ora contano tanto quanto le competenze tecniche e la produttività. Questi due ultimi elementi, in ogni caso, crescono se i lavoratori sono inseriti in ambiente sereno. Le aziende sono più consapevoli delle nuove aspettative dei lavoratori. Yahoo Japan, Amazon, Microsoft, Airbnb, Johnson & Johnson, Adobe, American Express, Meetic (sito francese di incontri), Mozoo (azienda francese di pubblicità digitale), Rev (azienda americana di speech-to-text), IIek (fornitore francese di energia verde), ecc... l'elenco delle aziende (soprattutto quelle di grandi dimensioni) propense al telelavoro dall'estero si allunga sempre di più, mentre tanti Governi nel mondo lanciano dei nuovi visti per nomadi digitali.

Anche i lavoratori autonomi e i freelance hanno voglia di trasferirsi all'estero, grazie alle iniziative che i Paesi stanno lanciando per facilitare il loro soggiorno. L'Estonia, un pioniere del nomadismo digitale, offre persino un programma 100% online dedicato alla creazione di impresa. Le Autorità vogliono attrarre nomadi digitali per trarne benefici economici. Ma che impatto ha questa politica sulla popolazione locale?

Nomadi digitali vs. abitanti del luogo

In Messico il messaggio è forte e chiaro: "andate via". Sui social media e per strada, sempre più messicani esprimono la loro insofferenza nei confronti dei nomadi digitali (soprattutto americani), la cui presenza è percepita come una forma di neocolonialismo. Alcuni stranieri esitano persino a definirsi "espatriati", consapevoli che il termine (coniato nel XIX secolo dai coloni per differenziarsi dagli immigrati) è tuttora malvisto. L'"espatriato" è visto come un privilegiato. 

Gli americani che si trasferiscono in Messico sono motivati principalmente dal basso costo della vita, mentre la povertà minaccia la popolazione locale. Attualmente, oltre il 40% dei messicani vive al di sotto della soglia di povertà. I nomadi digitali modificano l'ambiente in cui si stabiliscono, a partire dai prezzi degli alloggi. In Messico, i costi delle case sono alle stelle. Lo stesso fenomeno si sta verificando in Portogallo e in Thailandia.

Il Nomadismo digitale: una manna o una zavorra per l'economia locale?

Non è giusto mettere tutti gli stranieri sullo stesso piano. 
Quelli che si sono trasferiti in Messico prima del boom del nomadismo digitale non hanno nulla a che vedere con i nuovi arrivati perchè sono ben integrati nel contesto sociale e vivono come la gente del posto. 

I nomadi digitali raramente lavorano per il Paese dove si trasferiscono. Il loro reddito proviene da fuori, quindi, professionalmente, non sono obbligati a imparare la lingua del paese che li ospita. Vivono in "quartieri da espatriati", dotati di tutti i servizi, compresa una rete internet veloce. Importano la loro cultura, la loro lingua, le loro abitudini, ignari dei problemi della popolazione locale. È difficile parlare di integrazione in questo contesto.

Non è tutto negativo comunque. NomadX è una società che si occupa di villaggi per nomadi digitali in tutto il mondo. Uno è appena stato costruito a Madeira, in Portogallo. Un altro è in corso di realizzazione in Brasile. Secondo NomadX, il progetto portoghese, che accoglierà 6.000 nomadi digitali, potrebbe fruttare 30 milioni di dollari all'anno. Ma come si riversano questi proventi nell'economia locale? I locali ne traggono qualche beneficio?

La responsabilità dei Governi

I Governi locali incoraggiano la costruzione dei villaggi per nomadi digitali. Nella loro corsa al rilancio economico, pochi prendono in considerazione l'impatto del nomadismo digitale a lungo e medio termine. Messicani e portoghesi, costretti a lasciare i quartieri dove vivono perché non riescono a stare al passo con l'aumento degli affitti, patiscono l'afflusso di questa nuova tipologia di turisti.

La realtà dei fatti è che questi stranieri sono itineranti. Il principio stesso del nomadismo digitale è l'estrema flessibilità. Possono vivere e lavorare dove vogliono. I visti a loro dedicati sono un incentivo a spostarsi da un Paese all'altro, sfruttando al meglio i vantaggi che ognuno offre, senza subirne i vincoli. I nomadi digitali possono operare anche senza una dimora fissa. L'impatto positivo che hanno sull'economia locale andrebbe rivisto. Non ha senso creare dei villaggi su misura per loro, inaccessibili agli abitanti del luogo perchè non se li possono permettere. Proseguendo su questa ottica, gli stranieri non si integreranno mai e i locali non approfitteranno mai dei vantaggi che i loro Governi garantiscono solo agli espatriati. 

A proposito di Asaël Häzaq

Mikki è un'espatriata che vive in Giappone. Scrive contenuti per Expat.com ed è una blogger appassionata di lifestyle e cultura pop.