Quando una coppia si trasferisce all’estero, può capitare che lo spostamento sia conseguente ad una opportunità lavorativa di uno dei due. Essere la persona “a carico” non funziona per tutti e alla lunga può incrinare il rapporto. Lo psicoterapeuta Paul Carslake ci dà dei consigli per gestire questo tipo di situazione.
Essere in coppia è un po' come fare parte di una squadra, bisogna lavorare bene insieme per vincere. Indipendentemente dal lavoro di ognuno (quello che paga uno stipendio a fine mese, per intenderci), vivere a due è in se stesso un lavoro che non si basa su regole specifiche, ma dove ognuno assume dei ruoli, a seconda delle attitudini personali. C'è chi si incarica delle faccende burocratiche, chi svolge quelle pratiche, chi porta la macchina dal meccanico e chi tiene i conti. Senza parlare di tutti gli altri compiti che includono prendersi cura dei figli, per chi ne ha. Più la coppia è rodata e più si stabilisce un equilibrio tra le parti.
Andare a vivere all'estero può sbilanciare tutto. Con molta probabilità avevate entrambi un impiego prima di trasferirvi, uno dei due ha ricevuto una buona offerta in un altro paese e cosi avete deciso di partire. A questo punto ti trovi senza lavoro per la prima volta nella vita. All'inizio potresti non renderti conto del disagio tanto sei impegnato nel sistemare casa nuova e nel disbrigo delle formalità burocratiche. Ma prima o poi dovrai fare i conti con il cambiamento.
Una donna inglese sulla trentina mi ha raccontato di quella volta che era stata invitata ad una festa organizzata dal datore di lavoro del marito. "Avevamo un cartellino con il nostro nome e avevano sbagliato a scrivere il mio. In una situazione normale non ci avrei dato troppo peso, ma quel giorno la cosa mi ha contrariato. Durante la serata ho fatto qualche chiacchiera di poco conto, sono stata a fianco di mio marito, ma ero assente, sconnessa. In quel momento ho realizzato quanto ho avevo perso trasferendomi qui".
Le difficoltà che ci lancia la vita possono essere percepite in modo amplificato quando si è espatriati perchè ci mancano gli aiuti che abbiamo a casa nostra: le nostre amicizie, la famiglia, i luoghi conosciuti che ci danno conforto.
Inoltre, quando la coppia si sbilancia e uno dei due assume il ruolo di quello "a carico", questa situazione può portare alla superficie stati d'animo repressi. C'è voluta forse questa crisi sanitaria per farci capire quanto il lavoro, i colleghi, o l'ufficio possano contribuire al nostro benessere. Perdere questi punti fermi della vita di tutti i giorni - cosi come succede alle persone che seguono il partner all'estero - può portare ansia, e provocare un senso di inadeguatezza. In alcuni casi, può persino riaccendere quel tipo di tristezza incolmabile derivante da perdite importanti sperimentate in precedenza.
A volte può generare stati di collera: "Ho dovuto rinunciare alla mia vita per seguirti, e guarda in che stato mi trovo ora!". Per molti di noi, il più grande problema è quello di non esprimere sufficientemente la rabbia - e questo spesso è riconducibile al modo in cui questo sentimento veniva gestito nella famiglia dove si è cresciuti. La chiave per superare alcuni dei momenti più bui di un espatrio è imparare a comununicare i nostri stati d'animo -inclusi quelli negativi- con la consapevolezza che si tratta di un momento passeggero, non identificativo della nostra esperienza.
Un modo corretto per inquadrare la situazione è pensare a se stessi come un insieme di parti: "Una parte di me è arrabbiata perchè ho dovuto rinunciare a tutto per seguirti ma l'altra ti ama e non ti lascerà mai". Di contro, la persona che riceve lo sfogo d'ira non lo deve vivere come un attacco personale ma come l'esternazione di un temporaneo sentimento di disagio del partner. Quando le difese cadono, si può iniziare a discuterne.
Paul Carslake è uno psicoterapeuta che esercita a Londra, nel Regno Unito. Offre consulenza online a clienti di tutto il mondo. Puoi trovare altri articoli che parlano di lui su www.talkplace.co.uk