Completo, giacca e cravatta, pantaloni, jeans, gonna, vestito, con o senza scollatura, stampe o tinta unita, colori vivaci o sobri... La questione dell'abbigliamento è molto più complessa di quanto sembri. Quando si vive all'estero, poi, diventa ancora più difficile. Ogni Paese ha i suoi codici di abbigliamento, che devono essere rispettati. Come devi vestirti per andare al lavoro o per un'uscita tra amici? A cosa fare attenzione? I nostri consigli per evitare passi falsi.
Codice di abbigliamento, cultura, religione e politica
In alcuni Paesi l'abbigliamento è una questione da non prendere alla leggera. Secondo il codice penale omanita, vestirsi in modo indecente in pubblico è sanzionato con una pena detentiva da uno a tre anni e con una multa da 100 a 300 rial omaniti (da 260$ a 780$). Durante il mese del Ramadan, sarebbero stati avvistati molti stranieri con indosso abiti "indecenti" in luoghi pubblici. Le autorità omanite, come quelle di altri Stati musulmani, non chiedono agli espatriati di seguire il Ramadan, ma di rispettare la loro cultura e i codici di abbigliamento.
Un vestito è molto più che un semplice pezzo di stoffa, è un simbolo culturale. In Malesia è tollerato quasi ogni tipo di abbigliamento. Basta evitare abiti stretti o troppo corti e scollati (shorts, minigonne...), nel rispetto della cultura musulmana. Questo vale sia per gli uomini che per le donne. La stessa regola si applica nello Sri Lanka, dove vige anche il divieto di indossare abiti che nascondano il viso (legge del 2019). La misura è rivolta principalmente al velo integrale indossato da alcune donne musulmane (lo Sri Lanka è un paese a maggioranza buddista).
In India non esiste una legge, ma norme culturali. Come in Malesia, gambe nude, abiti corti, aderenti e scollate sono da evitare. Attenzione ai capi d'abbigliamento e agli accessori in pelle. Alcune religioni rispettano a tal punto gli animali che chi veste abiti in pelle potrebbe non essere ammesso nei templi.
Codice di abbigliamento e libertà personale
Spesso si dice che l'abbigliamento è un modo di affermare la propria individualità e di distinguersi. Alcuni espatriati vorrebbero mantenere il proprio stile di abbigliamento in nome della libertà individuale. Nei Paesi dove vige un codice di abbigliamento, non si tratta di un limite alla libertà personale, ma piuttosto di rispettare le abitudini del Paese ospitante. Infrangere le regole in nome della libertà si traduce, quindi, in un'offesa alla popolazione locale.
La questione dell'abbigliamento non è banale perché va a braccetto con i diritti umani. In India, ad esempio, il codice di abbigliamento delle donne riflette la loro condizione. Nonostante una Costituzione che garantisce l'uguaglianza di genere (articolo 14), le pari opportunità e la dignità delle donne (articolo 16) e malgrado i numerosi progressi circa l'interruzione volontaria di gravidanza (modifica della legge nel 2021), la condizione delle donne resta complessa. Il sessismo e la discriminazione impediscono alle donne di esprimersi attraverso l'abbigliamento. Questo è ancora più evidente in Iran, Pakistan e Afghanistan, nazioni che confinano con l'India.
Espatrio e codice di abbigliamento professionale
Anche l'abbigliamento professionale segue dei codici culturali. A prescindere dal Paese, gli indumenti troppo stretti, corti, scollati e appariscenti vanno evitati. Meglio non indossarli al lavoro ma usarli in contesti diversi come una festa o un'uscita tra amici (in base ai costumi del posto dove si vive).
Sessismo professionale?
In generale, le donne optano per il tailleur, gli uomini per giacca e cravatta. L'altezza del tacco delle scarpe da donna è tuttora oggetto di dibattito. In Giappone, ad esempio, la scarpa deve essere sobria e con un tacco mai troppo alto perchè le donne non devono superare in altezza gli uomini. Nel 2019, Takumi Nemoto, l'allora Ministro del Lavoro, giustificava questo "sessismo professionale" con la scusa delle consuetudini, suscitando l'indignazione delle donne. E' nato così il movimento "#KuToo". Ispirandosi a #MeToo, #KuToo è un gioco di parole tra "kutsu" (scarpa) e "kutsuu" (dolore). Nel 2017, la Columbia Britannica (una Provincia canadese) ha fatto scalpore proponendo una legge che vieta ai datori di lavoro di imporre alle dipendenti donne una certa tenuta vestimentaria.
In ambito professionale, le donne sono più soggette alle imposizioni. Basti pensare che, in alcune culture e religioni, l'uso dei pantaloni è riservato agli uomini mentre le donne devono indossare una gonna al ginocchio o fino ai piedi, o un vestito. In alcuni settori professionali, invece, le uniformi femminili (vedi certi settori della ristorazione) sono più strette, corte e scollate di quelle maschili.
Posizioni di responsabilità, abbigliamento e sessismo
Il sessismo è presente anche ai vertici dello Stato, che dovrebbe garantire il rispetto dei diritti per tutti. In Francia si ricorda ancora il "caso del vestito a fiori". Il 17 luglio 2012, Cécile Duflot, all'epoca Ministro delle Infrastrutture, si presentò all'Assemblea Nazionale indossando un abito blu a fiori. I deputati la fischiarono, la derisero e fecero commenti non richiesti. Patrick Balkany, all'epoca deputato di destra, dichiarò al quotidiano Le Figaro: "Forse ha indossato questo vestito perché voleva che nessuno ascoltasse quello che aveva da dire". Per alcuni politici francesi, un abbigliamento che si discosta dal tradizionale tailleur pantalone, enfatizza una femminilità che non si adatta alla politica.
Nel 2023, l'abbigliamento delle donne in politica continua a essere più discusso (e criticato) rispetto a quello degli uomini. Lo stesso accade nelle grandi aziende e/o per le posizioni di responsabilità. Alcune donne tendono a mascolinizzare il modo di vestire per apparire più credibili (come spesso accadeva negli anni '90 e 2000). Negli ultimi anni comunque, grazie a movimenti come #Metoo, le donne si sono liberate dalle costrizioni patriarcali. Le donne che occupano posizioni decisionali non hanno più paura di proclamare con orgoglio la loro femminilità.
Codice di abbigliamento e scelta dei colori
Meglio evitare i colori troppo accesi. In alcuni Paesi è consuedutine indossare il blu navy, i toni del grigio, del marrone e il nero. In Francia vanno bene anche le righe sottili e le fantasie eleganti. In generale, uomini e donne sono liberi di scegliere come vestirsi. Possono anche optare per colori vivaci, come il rosa o l'arancione. Naturalmente, è importante ricordare che tutto dipende dall'ambiente professionale e dall'azienda.
L'immagine occidentale dell'abito sartoriale non è necessariamente un must. Nel continente sub sahariano, si possono mettere le maniche corte ed usare stili diversi. L'abacost (tunica senza colletto, tessuto leggero) è una tenuta molto in voga. In origine, tuttavia, si trattava di un codice di abbigliamento imposto da Mobutu Sese Seko, presidente della Repubblica Democratica del Congo dal 1972 al 1990, che vietò gli abiti da lavoro occidentali, considerati un simbolo del colonialismo. Sebbene il divieto sia stato revocato da tempo, l'abacost rimane di moda.
Il taglio, il materiale e i colori si adattano al clima caldo. Nulla vieta comunque di indossare abiti scuri. A seconda dell'ambiente professionale, si possono scegliere anche i tessuti tradizionali africani (bogolan, kente, rafia, ecc.), il wax o il bazin, che offrono una gamma più ampia di colori, modelli e forme. Per le donne, la scelta è più vasta rispetto agli uomini.
Lavorare all'estero e codice di abbigliamento
"Elegante". Questo è il segreto di un guardaroba professionale. In Cina ti verrà chiesto di essere "sobrio e chic". In Italia o in Francia, si traduce in "sobrio e raffinato". Una sobrietà culturale. L'abbigliamento indossato nelle aziende francesi sarebbe considerato troppo appariscente in quelle giapponesi. La raffinatezza è soprattutto una questione di taglio dell'indumento, di qualità del tessuto e di stiratura! In qualsiasi nazione, gli abiti stropicciati vanno evitati. Nei Paesi con un alto tasso di umidità, è bene avere più capi a disposizione per le stagioni calde. In Giappone o negli Stati Uniti, le "convenzioni" sono molto radicate e le donne potrebbero essere obbligate a indossare i collant anche in piena estate.
In ogni caso, basta guardarsi intorno. Che cultura vige nel Paese di espatrio? Come si vestono le persone al lavoro, che abbigliamento usano per uscire? È facile riconoscere i professionisti (camicia bianca e abito scuro)? Meglio preferire dei colori su altri? Esistono degli stili di abbigliamento in base alla professione? La cravatta è obbligatoria? È possibile optare per un look casual?
Osservando i tuoi colleghi, saprai come vestirti. Ti adatterai agli usi locali e alla cultura aziendale. Nelle grandi città sarà più facile dare sfogo alla creatività. Originalità e personalità non vanno necessariamente soppresse, è tutta una questione di equilibrio.