Diversi studi dimostrano che la popolazione di espatriati sta diventando sempre più giovane. Quelli con meno di 30 anni riportano tassi di burnout più elevati degli espatriati più adulti, il che significa che le aziende devono riconsiderare le metriche del benessere nella loro cultura del lavoro. Anche gli orari di lavoro flessibili e la possibilità di lavorare da remoto rientrano tra le iniziative a favore del benessere.
Gli espatriati, soprattutto quelli più giovani, sono gravemente colpiti dal burnout
Alla fine dello scorso anno, la compagnia assicurativa americana Cigna ha pubblicato un documento intitolato "Burned Out Overseas - The State of Expat Life 2022". È emerso che oltre la metà degli espatriati che svolgono un'attività lavorativa ha meno di 35 anni. Gli espatriati più adulti, soprattutto quelli della generazione Baby Boomer, sono andati in pensione e sono tornati a casa. Molti di questi giovani espatriati soffrono di burnout: i tre anni di pandemia hanno sicuramente contribuito, ma la condizione ad oggi permane.
Oltre l'85% degli espatriati intervistati da Cigna ha dichiarato di sentirsi in trappola e impotente perché non riesce a staccare la spina dal lavoro. Quasi il 75% ha dichiarato che durante la pandemia ha rivalutato le sue priorità. Ha iniziato a dare più importanza alla vita privata rispetto ai guadagni, fino al punto di considerare un rientro in patria. Uno studio simile (2023), condotto dal consorzio di ricerca FutureForum, ha rilevato che il 48% delle persone sotto i 30 anni ha sperimentato il burnout, rispetto al 40% dei lavoratori più grandi.
Il rapporto 2023 di Deloitte "Well-being at Work" mostra risultati simili. Circa la metà dei lavoratori intervistati ha dichiarato di sentirsi esausta e stressata e circa il 30% ha addirittura dichiarato di soffrire di depressione. Deloitte aveva condotto una prima edizione di questo studio nel 2022 e non aveva riscontrato grandi progressi nel benessere dei lavoratori nel corso dei due anni precedenti. Il benessere dei lavoratori è rimasto invariato o è addirittura diminuito, anche se i dirigenti ritengono che sia nel complesso migliorato.
Analogamente al sondaggio di Cigna, anche quello di Deloitte indica che le condizioni di lavoro sono il fattore principale che incide sul benessere degli espatriati, anche ora che lo stress della pandemia è passato. Circa il 40-50% dichiara di non riuscire a utilizzare tutte le ferie, di non trovare il tempo per fare esercizio fisico, di non dormire almeno sette ore a notte, di non potersi prendere delle piccole pause sul lavoro o trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici: tutto questo a causa del sovraccarico di lavoro. È chiaro che le aziende devono fare di più per migliorare il benessere dei loro dipendenti, espatriati compresi.
Come si può migliorare il benessere dei lavoratori espatriati?
I diversi studi citati in precedenza forniscono indicazioni su come migliorare il benessere dei lavoratori espatriati. Tra questi ci sono:
- Fare in modo che le aziende rendano pubblici i loro progressi sulle metriche del benessere. Questa è una considerazione che emerge dallo studio Deloitte. Troppo spesso gli obiettivi di benessere sono vaghi, belle parole al vento, non supportate da fatti. Rendere le metriche di benessere quantificabili e consultabili, sia dai dipendenti che dal pubblico, incoraggerà i dirigenti a prenderle sul serio.
- Dare ai lavoratori una maggiore flessibilità per quanto riguarda gli orari e la sede di lavoro.
- Dopo il Covid, i dipendenti sono restii a tornare in ufficio a tempo pieno. Hanno scoperto che un modello di lavoro ibrido permette loro di trascorrere più tempo con la famiglia, soprattutto con i figli, e di non perdere tempo negli spostamenti. Lo scorso anno, uno studio condotto sull'app di messaggistica Slack, ha rilevato che la metà dei lavoratori britannici si sentiva stressata all'idea di tornare in ufficio a tempo pieno. Anche la diffusione dei visti per nomadi digitali ha reso gli espatriati più propensi a lavorare da remoto, in posti più rilassanti. Permettere ai dipendenti di lavorare dall'estero, usufruendo di questi visti, può davvero migliorare il loro livello di benessere e di soddisfazione.
- Incoraggiare i lavoratori a utilizzare i permessi retribuiti. I lavoratori espatriati vivono lontano dalle loro famiglie, quindi la possibilità di utilizzare le ferie per tornare a casa contribuisce al loro benessere.
- Assegnare ai dipendenti carichi di lavoro ragionevoli e creare un ambiente in cui si sentano sicuri nel delegare alcuni compiti e nel condividere le loro difficoltà se si sentono stressati, depressi o sfiniti.
- Valutare il benessere considerando tre fattori: diversità, equità e inclusione. Dato che gli espatriati potrebbero essere una minoranza etnica/razziale nel Paese ospitante, e pertanto essere oggetto di discriminazione, è importante che si sentano integrati a livello lavorativo. Per favorire il loro benessere, l'azienda può organizzare dei seminari sull'integrazione culturale e organizzare delle serate dove gli espatriati condividono i loro piatti tipici con i colleghi.
- Includere la palestra e la terapia tra le spese sanitarie che l'azienda è disposta a sovvenzionare, anche se solo in parte.