L'impatto del Covid-19 sui lavoratori transfrontalieri

Vita quotidiana
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Scritto da Nelly Jacques il 18 febbraio, 2022
Vivere in un paese e lavorare in un altro: è il caso dei lavoratori transfrontalieri. In Francia, ad esempio, sono 400.000 le persone che ogni giorno attraversano il confine per andare a lavorare in Svizzera, in Lussemburgo, in Belgio, in Svizzera, in Italia o in Spagna. Un sistema ben consolidato, quindi, salvo quando una pandemia mondiale stravolge l'ordine delle cose.

Quando la chiusura delle frontiere crea scompiglio

Una delle principali conseguenze della pandemia è stata la chiusura delle frontiere. A molti lavoratori frontalieri (ad eccezione del personale medico e altri professionisti dotati di un lasciapassare) durante il lockdown non è stato concesso attraversare i confini. Di conseguenza, non hanno potuto recarsi sul luogo di lavoro. Momento difficile per questa categoria di professionisti, ma non tutti i frontalieri sono stati trattati allo stesso modo.

C'è chi ha potuto continuare a lavorare perché la sua professione è considerata di primaria necessità; altri professionisti che, lavorando nel settore della produzione, dovevano per forza assicurare la loro presenza; i meno fortunati sono stati licenziati e sono stati costretti a reinventarsi.

Incremento del telelavoro

Tutti i frontalieri che possono svolgere il proprio lavoro al computer o al telefono, sono passati alla modalità smart working. Il lavoro a distanza ha subito un forte incremento dall'inizio della pandemia. Ma quando sei un professionista che vive in un paese, e lavora in un altro, le cose si complicano, soprattutto per quel che riguarda il pagamento delle tasse e il versamento dei contributi previdenziali.

Mantenere i diritti a livello fiscale

I lavoratori frontalieri sono soggetti a un regime fiscale speciale che regola il loro impiego all'estero (tasse e previdenza sociale). Quando durante la pandemia sono stati costretti a prestare servizio da casa, gli accordi in essere sono stati rivisti. In Europa, ad esempio, è stata votata e applicata una politica di "non impatto" legata al COVID, per non inficiare il diritto all'indennità di malattia e altri vantaggi legati al pagamento delle tasse.

E quando finalmente riaprono i confini 

La tanto attesa riapertura delle frontiere ha permesso a molti lavoratori di rimettersi in marcia, ma non senza difficoltà. A cominciare dalle lunghe code alle frontiere legate ai controlli (test PCR, certificato vaccinale, ecc...). Un altro problema è legato all'eterogeneità dei regolamenti sulla mobilità, dato che ogni Paese applica le proprie condizioni. Se lavori in una nazione che ha una politica più flessibile riguardo alle regole di ingresso nel territorio, ma vivi in una più restrittivo, potresti scontrarti con delle problematiche. Da qui l'importanza di trovare una soluzione adeguata con il datore di lavoro.

Diminuzione nel numero dei frontalieri

A livello generale, e per tutte le ragioni spiegate sopra, il numero dei frontalieri è diminuito negli ultimi decenni ma, se osserviamo più da vicino la situazione nei diversi paesi, il calo non è così significativo. I lavoratori frontalieri sono una categoria tuttora molto attiva, anche in questi tempi di COVID.

A proposito di Nelly Jacques

Nelly è francese, ha vissuto negli Stati Uniti ed ora si è stabilita a Barcellona. E' una scrittrice di contenuti per Expat.com, si occupa anche di redarre guide turistiche, organizza viaggi negli USA ed è una blogger di viaggi di lifestyle.